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Rivista Italiana di Genetica e Immunologia Pediatrica - Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology |
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Barbalace A, Porcino F, Tropeano A UOC Pediatria d'Urgenza con PS e OB, AUO "G. Martino", Università degli Studi di Messina
Vademecum Orticaria acuta
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Original article Barbalace A, Porcino F, Tropeano A UOC Pediatria d'Urgenza con PS e OB, AUO "G. Martino", Università degli Studi di Messina
Vademecum Orticaria acuta Caratteristiche
La lesione caratteristica dell’orticaria è il pomfo, contraddistinto dai 3 seguenti caratteri: 1) prurito e, talvolta, anche sensazione di bruciore (specie se si associa angioedema); 2) rigonfiamento centrale di dimensioni variabili, quasi sempre circondato da arrossamento cutaneo (eritema);
3) fugacità delle lesioni (normalizzazione della cute entro 1-24 ore). L’angioedema può accompagnare l’orticaria acuta fino al 10% dei casi, ed è caratterizzato da: 1) frequente interessamento delle mucose;
2) dolore più frequente del prurito, sensazione di fastidio;
3) edema improvviso del derma e del sottocutaneo;
4) risoluzione più lenta rispetto al pomfo (fino a 72 ore). Secondo la definizione corrente, è acuta un’orticaria che persiste per non più di 6 settimane. Viceversa, si definisce cronica, una orticaria che duri per più di 6 settimane. Infine, si distingue l’orticaria acuta recidivante che insorge frequentemente (almeno 1 episodio al mese). Tuttavia, va rilevato che la maggior parte dei casi sono di breve durata (nel 95% dei casi, i sintomi scompaiono entro le 2 settimane dall’esordio), nel bambino l’orticaria cronica è rara (0,1 - 3% dei casi). Cause La letteratura più recente è ormai concorde nell’affermare che la principale causa di orticaria acuta in età pediatrica è quella infettiva (virale in primis). Infatti, in oltre il 50% dei casi l’orticaria si definisce post (o para)-infettiva.
Al contrario di quello che si è portati frequentemente a pensare, dunque, un possibile legame con una causa allergica è ipotizzabile “soltanto” in circa il 15% dei casi. Inoltre, l’allergia ai farmaci è rara nell’età pediatrica e spesso gli stessi farmaci vengono chiamati in causa perché utilizzati durante il trattamento delle infezioni che accompagnano l’orticaria acuta che è dunque post (para)-infettiva. In quest’ultimo caso mancherà lo stretto nesso di causalità con il farmaco (la tempistica di esordio entro le 2 ore, inoltre, è spesso dirimente per le forme allergiche; così come la durata di poche ore a differenza dell forme infettive che tendono a durare di più e ripresentarsi nei giorni successivi).
Infine, le lesioni maggiormente caratteristiche dell’orticaria acuta di origine infettiva sono larghe chiazze, anulari e multiformi.
Diagnosi L’orticaria acuta di solito viene diagnosticata sulla base di anamnesi precisa e dettagliata di eventuali fattori scatenanti ed, anche, un attento esame morfologico dei pomfi. Infatti, sia la morfologia che la clinica del pomfo, possono naturalmente offrire un valido ausilio diagnostico:
- lesioni lineari: dermografismo;
- pomfi piccoli con largo alone eritematoso: orticaria colinergica, acquagenica o solare;
- larghe chiazze anulari multiformi: orticaria post/para-infettiva;
- lesioni di grandi dimensioni: orticaria da farmaci;
- papule che seguono punture di insetti: orticaria papulosa o strofulo.
Le più autorevoli Linee Guida internazionali (come quelle EAACI/GA²LEN/EDF/WAO – 2018) sono concordi nell’affermare che nessun esame diagnostico è normalmente indicato per la diagnosi di orticaria acuta. Potrebbe fare eccezione l’eventualità di un forte sospetto diagnostico, emerso dall’anamnesi, di eziologia allergica a farmaci, alimenti, puntura di insetto o agenti fisici. Solo in questi precisi e rari casi (cmeno del 10% dei totali), sarebbero giustificabili esami diagnostici (ad es. IgE specifiche per gli imenotteri, skin prick test o prick by prick con alimento, test per le orticarie fisiche, ecc).
Terapia Le Linee Guida indicano un chiaro e semplice algoritmo terapeutico in caso di orticaria (figura 1).

Figura 1. Algoritmo terapeutico in caso di orticaria (da: Zuberbier et al., EAACI/GA²LEN/EDF/WAO guideline for the definition, classification, diagnosis and management of urticari; Allergy 2018).
Gli antistaminici anti-H1 di seconda generazione (sgAH) sono i farmai di elezione per il trattamento. I più utilizzati in pediatria sono: cetirizina, levocetirizina, loratidina, desloratidina, bilastina, ebastina e fexofenadina. I livelli terapeutici per risultare efficaci, a volte, richiedono incrementi anche di 3-4 volte la dose abituale (vedi Figura 1), senza particolari rischi di eventi avversi. La cetirizina, in particolar modo, è la molecola maggiormente collaudata ed è nello stesso tempo quella con maggior margine di sicurezza (innocuità riconosciuta anche per tempi di utilizzo molto lunghi: anni). Non sono particolarmente indicate, invece, associazioni di diversi sgAH o di sgAH con antistaminici anti-H1 di prima generazione. Infine, non trovano alcuna indicazione nel trattamento dell’orticaria acuta: antistaminici topici, antistaminici anti-H1 e quelli anti-H2 di prima generazione. I corticosteroidi per via sistemica (per os, i.m. o e.v.), trovano utilizzo, sempre in associazione agli sgHA, nelle forme acute gravi e generalizzate specie se accompagnate da angioedema, oppure in fase acuta nelle forme fortemente disturbanti. Il loro utilizzo dovrebbe essere sempre sotto forma di brevi cicli di alcuni giorni, comunque mai superiori a dieci. Non c’è indicazione per l’utilizzo, invece, di steroidi topici.
In conclusione, però, è bene sottolineare che sia i cortisonici che gli antistaminici agiscano migliorando l’intensità dei sintomi del paziente, ma non influiscono sulla durata delle manifestazioni cutanee.
Dieta e orticaria acuta Non c’è alcuna evidenza scientifica, come riportato in letteratura, che una generica dieta priva di alimenti contenenti istamina o istamino-liberatoria abbia qualche effetto sulla manifestazione cutanea o su eventuali nuovi episodi acuti. Dunque, la “dieta povera di alimenti istamino-liberatori”, non serve a limitare l’espressione clinica della malattia né tanto meno la sua durata o ricomparsa.
In conclusione, non andrebbe data indicazione a nessun tipo di dieta specifica in caso di orticaria acuta (ad eccezione dei casi fortemente suggestivi seppur rari, come detto sopra, di sospetta eziologia allergica alimentare).
Bibliografia 1. Zuberbier T et al. The EAACI/GA²LEN/EDF/WAO guideline for the definition, classification, diagnosis and management of urticarial. Allergy. 2018 Jul;73(7):1393-1414. 2. Zuberbier T, Aberer W, Asero R, et al. The EAACI/GA(2) LEN/EDF/WAO Guideline for the definition, classification, diagnosis, and management of urticaria: the 2013 revision and update. Allergy 2014;69:868-887. 3. Galli E et al. Orticaria acuta: Linee Guida SIAIP (Compendio sinottico e commenti tratti dalle Linee Guida EAACI 2009), RIAP 05-06/2012: 19-23.
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Original article Tropeano A, Barbalace A UOC Pediatria d'Urgenza con PS e OB, AUO "G. Martino", Università degli Studi di Messina
Anafilassi in Pronto soccorso pediatrico


Terapie adiuvanti non salvavita (la cui somministrazione non deve mai procrastinare/sostituire l’uso dell’adrenalina i.m.)
- Antistaminico anti-H1: Cetirizina per os (0.25mg/Kg, dose max. 10 mg) oppure difenidramina ev (1mg/Kg dose max 50mg) da usare in caso di persistenza del prurito/orticaria nonostante l’adrenalina im. N.B: l’uso di questi farmaci potrebbe interferire con il riconoscimento dell’anafilassi nonché compromettere ulteriormente le funzioni cognitive del pz (effetto sedativo); - Broncodilatatori per aerosol: Salbutamolo 1.25-2.5 mg/2-10 puff ogni 20 minuti in caso di broncospasmo che persiste dopo somministrazione di adrenalina im. - Corticosteroidi: Metilprednisolone ev (1-2 mg/Kg/dose, max. 125 mg); Idrocortisone 5mg/Kg/dose (max 200mg). E' importante sottolineare che il paziente che sopravvive ad un’anafilassi trattata erroneamente solo con steroidi o con altra terapia adiuvante era destinato a sopravvivere comunque! Non esistono controindicazioni assolute all’utilizzo dell’adrenalina im. La gran parte degli effetti avversi gravi secondari alla somministrazione del farmaco sono legate all’utilizzo endovena o ad errori nella posologia. - Antistaminici: il loro uso è il motivo principale di mancata somministrazione di adrenalina im. Sono utili solo sui segni/sintomi cutanei e/o mucosi (angioedema, prurito, orticaria, rash) NON sono dei farmaci SALVAVITA in quanto non interferiscono sui sintomi cardiovascolari e respiratori. La loro limitata utilità, in corso di anafilassi, dipende da ragioni farmacodinamiche, infatti, gli antistaminici non possono bloccare l’effetto dell’istamina quando già legata ai recettori di membrana. Inoltre, gli antistaminici orali non agiscono sui sintomi respiratori, cardiovascolari o dell’apparato digerente (caratterizzanti l’anafilassi), ma hanno invece la proprietà di alleviare i sintomi cutanei e mucosi in corso di anafilassi, con un tempo di azione di circa 30 minuti. Per tale motivo vengono raccomandati nel trattamento dell’anafilassi, ma solo come farmaci di terza linea (il cui uso non deve assolutamente ritardare la somministrazione di adrenalina). Simili osservazioni valgono per gli antistaminici ad uso parenterale (es. clorfenamina 0,20-0,25 mg/kg, max 10 mg), che hanno maggiore rapidità di azione rispetto a quelli orali, ma possono procurare ipotensione. Pertanto bisogna fare attenzione alla velocità di somministrazione (se endovenosa) o somministrarli per via intramuscolare. Comunque quando le reazioni sono lievi-moderate è sempre meglio utilizzare quelli orali (anti-H1) a rapido assorbimento (es. cetirizina che presenta breve latenza d’azione, circa 15-30 min., maggiore durata farmacologica, > 24h e ridotto effetto sedativo).
- Corticosteroidi: il loro uso in corso di anafilassi rimane abbastanza discusso. Non c’è accordo infatti sulla molecola da preferire (metilprednisolone, prednisolore, idrocortisone), sulla via di somministrazione (os o ev) e sulla durata della terapia (singola dose o dosi ripetute per qualche giorno). Si sottolinea tuttavia il consenso unanime a non utilizzare questa classe farmacologica come terapia di prima linea. L’uso dei corticosteroidi potrebbe invece prevenire l’eventuale fase tardiva dell’anafilassi. Criteri per la dimissione dal Pronto soccorso Un periodo di osservazione clinica più o meno lungo dopo l’episodio acuto di anafilassi è fortemente raccomandato in previsione di una possibile reazione bifasica. Appare utile a tal fine specificare che reazioni bifasiche possono verificarsi entro 1-72 h dall’inizio dei sintomi (mediana compresa tra 4 e 22 h), suggerendo quindi che la gran parte degli eventi avvenga in ambiente extraospedaliero. E’ importante, quindi, personalizzare il più possibile la durata dell’osservazione clinica e valutare l’eventualità del ricovero in considerazione dei seguenti fattori di rischio per reazione bifasica: - ritardo nella somministrazione dell’adrenalina im in seguito alla comparsa di anafilassi; - necessità di somministrare più dosi di adrenalina im; - gravità dei sintomi iniziali; - difficoltà del paziente ad accedere alle cure mediche. In presenza di uno o più dei suddetti fattori di rischio è utile considerare una osservazione clinica prolungata (>6 h) o il ricovero ospedaliero. Infine, in caso di anamnesi o storia clinica fortemente suggestiva di anafilassi ad eziologia allergica, appare particolarmente utile effettuare un work-up diagnostico allergologico con l'ausilio delle più recenti metodiche di diagnostica molecolare (a tal proposito, vedasi l'articolo pubblicato sulla nostra Rivista, Numero 1 - gennaio 2019, con titolo: "Diagnostica molecolare allergologica nell'allergia ad alimenti" di Colavita L et al.). Infatti nelle allergie alimentari ciò consente di determinare il rischio di reazioni gravi e di stabilire pertanto quando vi è necessità di prescrivere l’adrenalina auto-iniettabile, se effettuare un challenge ed eventualmente con quali modalità. Ogni gruppo di proteine presenta infatti delle caratteristiche diverse in termini di termo-stabilità e gastro-stabilità, ovvero di resistenza a cottura e digestione gastro-intestinale. (Figura 1) 
Figura 1. Le 4 famiglie di molecole allergeniche (profiline, PR10, LTP, storage proteins) in ordine di pericolosità crescente in termini di rischio di reazioni severe correlato alle caratteristiche di gastro- e termo-stabilità. Bibliografia - Anagnostou K, Turner PJ. Myths, facts and controversies in the diagnosis and management of anaphylaxis. Arch Dis Child 2019; 104(1):83-90 - Stanley Szefler Francisco Bonilla Cezmi Akdis Hugh Sampson. Pediatric Allergy: Principles and Practice 3rd Edition. Elsevier 2016 ISBN: 9780323298759 - Sheikh A1, Shehata YA, Brown SG, Simons FE. Adrenaline for the treatment of anaphylaxis: cochrane systematic review. Allergy. 2009 Feb;64(2):204-12.
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Original article Amatruda M, Bombaci B, Sippelli F
UOC Pediatria d'Urgenza con PS e OB, AOU "G. Martino", Università degli Studi di Messina
La gestione del dolore in pediatria Introduzione Il dolore, secondo la definizione IASP (International Association for the Study of Pain), è un’esperienza soggettiva, sensoriale ed emotiva spiacevole, associata a un danno tissutale reale o potenziale, che deriva dall’integrazione tra stimolo nocicettivo e stato psicologico dell’individuo [1]. È un sintomo molto frequente (60%) nell’ambito dell’emergenza pediatrica e può essere acuto, cronico o determinato dall’esecuzione di procedure diagnostico terapeutiche. Può interessare il distretto addominale, toracico, cranio-facciale e/o osseo [2]. Secondo la scala analgesica dell’OMS (Organizzazione Mondiale di Sanità) è classificato in tre diversi livelli di intensità: lieve, moderato e forte (Scala analgesica OMS) [3]. Valutazione del dolore Per trattare il dolore in modo efficace, è necessario misurarlo, cioè renderlo quantificabile utilizzando strumenti adeguati, efficaci e validati dalla letteratura [4]. I metodi algometrici per la misurazione del dolore, in uso per l’età pediatrica, si possono suddividere in quattro gruppi:
- Scale di autovalutazione: Costituiscono il gold-standard. Si basano sulla descrizione che il bambino riesce a dare del proprio dolore.
- Scale di eterovalutazione: Persone diverse dal bambino (genitori/operatori sanitari) valutano e danno una misurazione del dolore provato dal bambino stesso..
- Metodi fisiologici: Valutano l’effetto del dolore su parametri fisiologici (i più frequenti sono aumento di frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, pressione arteriosa, sudorazione palmare, etc).
- Metodi comportamentali: Valutano le risposte secondarie al dolore (es. postura, mimica facciale, pianto, sonno, alimentazione) [4].
Le tre scale algometriche che per efficacia, efficienza e applicabilità, risultano più indicate per la valutazione del dolore nel bambino competente e cognitivamente adeguato, da 0 a 18 anni sono:
1. Scala FLACC (Face Legs Activity Cry Consolability): indicata nella valutazione nel bambino in età pre-verbale (< 3 anni). La scala si compone di cinque items: volto, gambe, attività, pianto, consolabilità, a ciascuna delle quali, in base ai dati osservati, è assegnato un punteggio compreso tra 0 e 2. Lo score totale è compreso tra 0 (nessun dolore) e 10 (massimo dolore possibile). (Tabella 1) 
2. Scala di Wong-Baker: indicata nella valutazione del bambino di età ≥ 3 anni: È composta da sei facce con espressione diversa e ingravescente, relativa al dolore da 0 (nessun dolore) a 6 (massimo dolore possibile).
3. Scala numerica (Numeric Rating Scale, NRS): indicata nella valutazione del bambino di età ≥ 8 anni. Essa consente di esprimere un’intensità del dolore compresa tra 0 e 10.
Le scale algometriche utilizzabili, invece, nel neonato sono diverse e varie: PIPP (Premature Infant Pain Profile), per neonato pretermine; NPASS (Neonatal Pain Assessment and Sedation Scale), per neonato in terapia intensiva neonatale; NIPS (Neonatal Infant Pain Scale), per dolore procedurale. La maggiore difficoltà, qui, è che il paziente è in fase pre-verbale e quindi non può comunicare il proprio dolore.
Nel caso di bambini con problemi neuro cognitivi e/o motori, la misurazione del dolore, essendo più complessa, viene fatta facendo ricorso a strategie ad hoc, all’etero valutazione e/o ad altre scale specifiche (es. scala NCCPC-R o FLACC-R) [4,5].
Trattamento del dolore La letteratura è concorde nel confermare che, anche in pronto soccorso pediatrico (PSP), l’approccio corretto al dolore deve prevedere un intervento integrato di terapia farmacologica e non farmacologica.
Terapia non farmacologica Nell’ambito delle tecniche fisiche, il ricorso a spray freddo, ghiaccio, impacchi caldo-umidi, massaggi e applicazione di pressione si sono confermati essere interventi efficaci, facilmente utilizzabili e con un basso consumo di risorse [6]. Inoltre, il ricorso a fasciature, medicazioni e splint sono altri semplici sistemi che permettono di ottenere una riduzione della sintomatologia algica ed un effetto di ansiolisi, coprendo la vista della ferita causa di distress psicofisico nel bambino [7].
Terapia farmacologica Fra tutti, il paracetamolo è indicato da numerose evidenze come l’agente analgesico di prima linea in PSP efficace alla dose corretta (15 mg/kg) nel trattamento del dolore lieve-moderato, gravato da limitati e quasi sempre prevedibili effetti collaterali, caratterizzato da una rapida azione e dalla possibilità di diverse vie di somministrazione [8,9]. In caso di dolore di grado lieve/moderato è preferibile somministrare il paracetamolo per os (discreta rapidità di azione e ottima tolleranza da parte del bambino), mentre la via rettale è gravata da un lento assorbimento e da una efficacia poco prevedibile, sia in termini di tempo, di azione che di capacità analgesica [10,11], e difficilmente permetterà di raggiungere una concentrazione di compartimento (assimilabile alla liquorale) efficace a dosi equivalenti a quelle orali o ev, necessitando di alti dosaggi. Una valida alternativa al paracetamolo, in caso di dolore lieve/moderato, è rappresentata dall’ibuprofene, l’antinfiammatorio non steroideo (FANS) con maggior evidenza di sicurezza di uso in età pediatrica come attestato dai dati di letteratura [12,13]. Numerosi studi confermano l’efficacia analgesica dell’ibuprofene, la rapidità di effetto e la presenza di limitati effetti collaterali. A causa di questi l’uso dei FANS in generale e dell’ibuprofene in particolare è sconsigliato in caso di patologie emorragiche, disidratazione importante, gastropatie e alterata funzionalità renale [4].
In caso di dolore significativo, l’uso combinato di paracetamolo e ibuprofene viene proposto da alcuni Autori come una strategia efficace e ben tollerata anche dai pazienti pediatrici [14]. (Tabella 2).

Nei casi di dolore moderato/severo trova indicazione il ketorolac (colica biliare o renale, frattura ossea, ustione), le cui efficacia e sicurezza sono state di recente confermate. In assenza di accesso venoso può essere una valida alternativa la sua somministrazione sublinguale [15].
Sono state di recente riportate esperienze positive in merito all’uso del tramadolo sublinguale nel dolore post-traumatico moderato/severo in bambini al di sopra dei 12 anni, che sembra, a parità di modalità di somministrazione, avere efficacia analoga al ketorolac, seppur con maggiore incidenza di reazioni avverse (in particolare vomito). Tuttavia, l’uso di questa molecola è stato recentemente bandito dalla FDA per i bambini al di sotto dei 12 anni, ed è controindicato nei bambini al di sopra dei 12 anni con fattori di rischio noti (obesità, apnee notturne, pregressa adenotonsillectomia, supermetabolizzatori) [16].
Farmaci oppioidi Il dolore severo può rendere necessario l’utilizzo di farmaci oppioidi. Questi, data l’assenza di “effetto tetto”, permettono l’aumento del dosaggio fino all’ottenimento di un sufficiente controllo del dolore, con facile reversibilità degli effetti avversi mediante somministrazione di naloxone. Il loro effetto sedativo fornisce, inoltre, anche effetto ansiolitico. In caso di scarsa risposta ad una molecola è possibile alternarne l’utilizzo con altri oppioidi o in caso di dolore di particolare intensità si può valutare l’associazione di più farmaci. Nei casi di terapia prolungata (oltre 5 giorni) possono comparire effetti di tolleranza e dipendenza, per cui si rende necessario un decalage della dose prima di una definitiva sospensione (½ dose per 2 giorni e ¼ dose per i successivi due giorni).
Tra gli oppioidi liposolubili il fentanil risulta essere il più studiato in ambito pediatrico. Può essere somministrato sia per via intranasale che endovenosa.
Il fentanil intranasale risulta avere buona efficacia e sicurezza nel bambino nella terapia in acuto del dolore da moderato a severo, con un tempo di azione molto rapido (circa 10 minuti) [17].
Gli oppioidi idrosolubili (morfina, metadone, ossicodone) sono invece più indicati nelle terapie prolungate e nel dolore non a rapida risoluzione. Tra tutti la morfina risulta essere la più sicura, data l’ampia presenza di evidenze sul suo utilizzo [18]. (Tabella 3).

Dolore procedurale Il dolore procedurale è una problematica di particolare rilievo in ogni PSP, dato anche l’importante impatto emotivo che questo ha sui piccoli pazienti. La maggior parte degli accorgimenti che possono essere presi sono semplici ed alla portata di qualunque struttura. Possono essere utilizzati metodi farmacologici e non farmacologici. Data l’importante componente emotiva, è fondamentale la presenza e la partecipazione dei genitori durante l’esecuzione della procedura.
I metodi non farmacologici consistono nell’utilizzo di accorgimenti che hanno il fine di distrarre il paziente durante l’esecuzione di procedure, agendo così sulla componente emotiva del dolore piuttosto che sulla nocicezione. Per i bambini più piccoli sembra avere particolare efficacia l’utilizzo di bolle di sapone, mentre nei più grandi resta particolarmente efficace l’ausilio di videogames o la televisione. E’ stato dimostrato che nei lattanti la suzione al seno, l’utilizzo del saccarosio e il posizionamento in braccio ai genitori hanno un importante effetto analgesico in corso di venipuntura [19].
In occasione di venipunture, suture e rachicentesi può essere molto utile l’applicazione di anestetici locali. EMLA crema (lidocaina e prilocaina) e Ametop gel (tetracaina) sono applicabili su cute integra in caso di venipunture in bambini al di sopra dell’anno di vita. Queste vanno tenute in sede con un bendaggio occlusivo per circa 30-60 minuti. Può essere vantaggioso, quando ritenuto necessario, l’applicazione di queste da parte del personale infermieristico direttamente al momento del triage. Secondo una recente Cochrane, Ametop risulterebbe avere una azione lievemente più rapida rispetto alla lidocaina [20]. LAT gel (lidocaina, adrenalina, tetracaina) risulta avere pari efficacia antalgica alle infiltrazioni di anestetico locale in corso di suture di ferite di dimensioni minori ai 5 cm [21]. Questo va tenuto in sede per circa 30 minuti, valutando lo sbiancamento dei tessuti (causato dalla vasocostrizione) per capirne l’inizio dell’effetto. LAT gel non può essere utilizzato su naso ed orecchie, per il rischio di ischemia a causa della loro vascolarizzazione terminale, e sulle dita dei bambini più piccoli, dato che la sua ingestione accidentale può provocare convulsioni. In caso di procedure più dolorose è, infine, possibile eseguire una sedazione minima.
Il farmaco di elezione in questo caso è il midazolam, benzodiazepina con proprietà ansiolitiche e ipnotiche con buon effetto di amnesia anterograda. Questo può essere somministrato per via intranasale e sublinguale, esercitando il suo effetto in pochi minuti. Il dosaggio consigliato è di 0.2-0.7 mg/kg per via intranasale e 0.2-0.5 mg/kg per via sublinguale e quando utilizzato in monoterapia non richiede digiuno. Nel 60% dei casi si ottiene così un effetto ipnotico completo e di breve durata, e nel 95% dei casi si ottiene comunque amnesia anterograda. In alcuni casi può avvenire una reazione paradossa con agitazione psico-motoria e pianto inconsolabile [22].
Altro farmaco che può essere utilizzato è il protossido di azoto, somministrato sotto forma inalatoria in miscela gassosa al 50% di ossigeno. Anch’esso ha un ottimo profilo di sicurezza, non necessita di digiuno e permette un rapido ottenimento della sedazione (3-10 minuti), somministrandolo solo per il tempo necessario all’esecuzione della procedura [23]. Una volta rimossa la maschera, il farmaco viene poi smaltito mediante la respirazione.
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Original article Giannitto N, Sallemi A, Meo AF, Cutrupi M UOC Pediatria d'Urgenza con PS e OB, AOU "G. Martino", Università degli Studi di Messina
Convulsioni febbrili: gestione e trattamento Definizione Le convulsioni febbrili (CF), sono eventi critici di natura epilettica insorti in pazienti di età compresa tra i 6 mesi ed i 5 anni in corso di febbre (TC > 38 °C rilevata durante l’episodio critico o nell’immediato periodo post-critico) in assenza di segni di infezione acuta del SNC (sistema nervoso centrale) e con anamnesi muta per precedente convulsione non febbrile. Rappresentano circa il 30% di tutte le manifestazioni convulsive del bambino. In Europa si stima un’incidenza pari al 2-4% della popolazione pediatrica con età inferiore ai 5 anni. Possibili triggers scatenanti sono rappresentati da: - Infezioni delle vie aeree superiori; - Malattie esantematiche; - Gastroenteriti. 
Diagnosi differenziale - Lipotimia e sincopi in corso di febbre: - Manifestazioni motorie anormali: brividi, crisi distoniche. Possibili cause alternative di convulsioni associate a febbre - Infezioni a carico del SNC (meningiti/encefaliti/ascesso cerebrale); - Sepsi con anomalie elettrolitiche; - Ipoglicemia. Fattori predisponenti - Precedente episodio di convulsione febbrile; - Storia familiare (parente di primo grado). Rischio di ricorrenza Il rischio complessivo di recidiva è tra il 30-40%, tuttavia si devono tenere conto di alcuni criteri di stima del rischio di recidiva: - Età precoce di insorgenza (<15 mesi); - Convulsioni febbrili o epilessia in parenti di primo grado; - Primo episodio di CF complesse. 
Le CF hanno una prognosi eccellente in oltre il 95% dei casi. Il rischio di evoluzione verso l’epilessia nei soggetti con convulsioni febbrili semplici (CFS) è dell’ 1-1.5% mentre nei soggetti con convulsioni febbrili complesse (CFC) tra il 4 ed il 15%.
Management 



Trattamento Trattamento convulsione febbrile in atto: il trattamento delle CFS consiste nella terapia di eventuali crisi prolungate la cui durata richieda la somministrazione di farmaci e nella prevenzione delle eventuali recidive. È verosimile che i genitori di un bambino con una prima CF non abbiano ricevuto istruzioni sulla gestione della crisi, a meno che non vi sia già stato un familiare con lo stesso problema. Generalmente il bambino viene condotto al più vicino Pronto Soccorso mediante l’attivazione del 118. La maggior parte delle CFS termina spontaneamente entro 2-3 minuti; di conseguenza esse non richiedono alcun trattamento. Sporadicamente la CFS può durare oltre i tre minuti; in tali casi non essendo prevedibile la durata spontanea sarà opportuno intervenire farmacologicamente. Terapia della crisi prolungata (> 2-3 min) in ambiente extra-ospedaliero (ed istruzione ai familiari per eventuali recidive) - mantenere la calma; - allentare l'abbigliamento, in particolare intorno al collo; - se il bambino è incosciente metterlo in decubito laterale (preferibilmente sx) per evitare l'inalazione di saliva ed eventuale vomito; - non forzare l'apertura della bocca; - osservare il tipo e la durata della crisi; - non dare farmaci o liquidi per via orale; - ove possibile, il trattamento deve iniziare prima dell’arrivo in ambiente ospedaliero, anche in assenza di un accesso venoso; - somministrare diazepam alla dose di 0,5 mg/kg per via rettale in caso di convulsione prolungata oltre 2-3 min. (il diazepam somministrato per via rettale impiega circa 3 minuti a raggiungere una concentrazione cerebrale efficace).
- il midazolam per via transmucosa orale (0,5 mg/Kg) o nasale (0,2 mg/kg) è più efficace del diazepam endorettale, ma è off label in Italia.
- in ogni caso contattare il pediatra curante o altro sanitario; - un intervento medico è necessario nei seguenti casi : crisi di durata >10 minuti o che non cessa con la terapia crisi ripetute crisi focali presenza di prolungato disturbo della coscienza e/o paralisi post-critica; Terapia della crisi prolungata in atto in ambiente ospedaliero (valida anche per la crisi complessa in atto) - valutazione dei parametri vitali (temperatura corporea, frequenza cardiaca, saturazione O2 , frequenza respiratoria, pressione arteriosa);
- valutazione clinica delle condizioni generali e dello stato di coscienza (Glasgow Coma Scale – GCS – o Alert, Voice, Pain, Unresponsive scale – AVPU);
- eventuale disostruzione delle vie aeree;
- O2 terapia in caso di desaturazione, dispnea e/o cianosi;
- normalizzazione della temperatura corporea e correzione di eventuali concause (ipoglicemia, squilibri idroelettrolitici)
- approccio terapeutico ( terapia anti-convulsiva e terapia infusionale).
Trattamento farmacologico di prima linea Se accesso venoso disponibile:
Alternativamente:
-Diazepam ev: 0,25 mg/Kg (dose max 10 mg);
-Midazolam ev: 0,15 mg/Kg (dose max 10 mg). Se accesso venoso non disponibile:
Alternativamente:
- Midazolam buccale o intranasale: 0,3 mg/kg (dose max 10 mg); - Midazolam im: 0,15 mg/Kg (dose max 10 mg). Note La somministrazione di benzodiazepine può indurre insufficienza respiratoria, oltre che sedazione. E’ opportuno evitare la somministrazione complessiva di più di due dosi di benzodiazepine (considerando nel computo anche la dose eventualmente somministrata in fase pre-ospedaliera).
Raccomandazioni - Il primo momento operativo, nell’approccio al paziente con CF, è la stabilizzazione e la messa in sicurezza del paziente; - In attesa di reperire un accesso venoso, si raccomanda di somministrare diazepam per via rettale alla dose di 0,5 mg/kg (grado di evidenza III; forza della raccomandazione A); - Se la crisi persiste, può essere effettuato, monitorando i parametri vitali, un bolo di diazepam (0,3 mg/kg) o lorazepam (0,1 mg/kg) per via endovenosa alla velocità massima di 5 e 1 mg/minuto rispettivamente; - In caso di persistenza della crisi, e quindi di non risposta ai precedenti farmaci, può essere utilizzato il midazolam in infusione endo-venosa (0,1-0,3 mg/kg in bolo, seguito, se necessario, da 0,05-0,1 mg/kg/ora in soluzione fisiologica di mantenimento) concordando la procedura con il rianimatore; - Se la crisi persiste, passare alle linee guida dello stato di male con l’intervento dell’anestesista.

Bibliografia
- Infants and children acute management of seizures NSW government health
- Appleton 2000, Advanced Life Support Group 2004, New South Wales Department of Health 2006
- American Academy of Pediatrics.Committee on Quality Improvement, Subcommittee on Febrile Seizures. “Febrile Seizures: - Guideline for the Neurodiagnostic Evaluation of the Child With a Simple Febrile Seizure”. Pediatrics 2011;127;389
- Silvia Callegaro et al. “Implementation of a Febrile Seizure Guideline in Two Pediatric Emergency Departments”. Pediatric Neurology, 2009. Vol. 40 No. 2
- La gestione del bambino con convulsioni febbrili”, Linee guida della Società italiana di Pediatria(SIP). Gennaio-Marzo 2009, Vol. 39, n 153 Pp 73-78 - http://www.lice.it/LICE_ita/lineeguida/pdf/20071126_LineeGuida-Convulsioni-febbrili.pdf
- http://www.simeup.it/?p=2855
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Original article Colavita L, Pititto R, Curatola S UOC Pediatria d'Urgenza con PS e OB, AOU "G. Martino", Università degli Studi di Messina
Asma acuto in Pronto soccorso pediatrico L’attacco asmatico acuto (riacutizzazione o fase acuta dell’asma) è una condizione frequente in età pediatrica. Interessa sia il paziente non asmatico (infezioni virali in corso, esposizione ad allergeni o irritanti) che il paziente asmatico già noto (scarsa compliance terapeutica , scorretto utilizzo di devices, esercizio fisico o stress emotivo, esposizione ad allergeni o irritanti). Clinicamente è caratterizzato da una serie di sintomi respiratori (respiro sibilante, dispnea accessionale, costrizione toracica, tosse ed intolleranza allo sforzo), che possono variare nel tempo e in intensità. Valutazione iniziale delle riacutizzazioni asmatiche

Tabella 1. Valutazione clinica delle riacutizzazioni asmatiche. Imminente rischio di insufficienza respiratoria Ricovero se è presente una qualsiasi delle seguenti condizioni:

Tabella 2. Indicazioni al ricovero, rischio imminente insufficienza respiratoria.
Gestione asma acuto lieve-moderato 1- Salbutamolo: inalazione, spray pre-dosato ( con distanziatore) 2-4 puffs ( 200-400 microgr.) o nebulizzazione (2,5-max 5 mg) , ripetibile se necessario ogni 20 minuti per un’ora, fino ad un massimo di 3 dosi. Nelle forme più gravi associare ipratoprium Bromuro nebulizzazione 125-250 microgr. (> 4 aa),
2- Risposta soddisfacente: risposta stabile per 60’ dopo l’ultima somministrazione, distress respiratorio lieve SaO2 >95%, non necessario il ricovero, il paziente può continuare la somministrazione di salbutamolo ogni 4-6 h. Per i pazienti già in trattamento con steroidi inalatori, continuare ad utilizzarli alle loro dosi. 3- Risposta insoddisfacente e/o ricaduta entro la prima ora: continuare la somministrazione di salbutamolo ed aggiungere uno steroide per os: prednisolone per os: 1-2 mg/kg/die (max 40 mg) in 1-2 somministrazioni.
4- Somministrare O2 con maschera facciale per mantenere la saturazione tra 94-98%. 

Gestione asma acuto severo Richiede il trasferimento in Terapia intensiva pediatrica e l’immediata somministrazione di: - Terapia inalatoria con salbutamolo con spray predosato con distanziatore (2-4 puffs, fino a 10 puffs nelle forme più gravi ) o nebulizzazione (0,1-0,15 mg/Kg ; max 5 mg), ripetibile ogni 20’ fino ad un massimo di 3 dosi in associazione ad ipratropium bromuro. - Terapia sistemica con corticosteroidi: prednisolone per os ( 1-2 mg/kg, max 40mg). La via ev va riservata ai bambini gravi che non sono in grado di assumere farmaci per os (metilprednisolone 1-2 mg/kg/6-8 h, max 40 mg/dose; idrocortisone 5-10 mg/kg/6-8 h). - Ossigenoterapia.

Bibliografia -Global Initiative for Asthma; Asthma management and prevention for adults and children older than 5 years- 2019. -Progetto Mondiale Asma; GINA aggiornamento 2019. -PEARS (Pediatric Advanced Emergency Assessment, Recognition and Stabilization) 2012 - Vital signs in children.
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Gambadauro A, Barraco P, Ceravolo MD, Cutrupi M UOC Pediatria d'Urgenza con PS e OB, AOU "G. Martino", Università degli Studi di Messina
La febbre: gestione e terapia
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Original article Gambadauro A, Barraco P, Ceravolo MD, Cutrupi M UOC Pediatria d'Urgenza con PS e OB, AOU "G. Martino", Università degli Studi di Messina
La febbre: gestione e terapia Introduzione - La febbre è definita come l’incremento della temperatura corporea centrale al di sopra dei valori di normalità; - La temperatura centrale normale è compresa tra 36,5°C e 37,5°C. Nei neonati i limite è un po’ più alto, con mediana a 37.5°C e limite superiore (corrispondente a +2DS) di 38°C; - La temperatura è oggetto di variazioni circadiane, con limite superiore di 37.2°C al mattino e di 37.7°C nelle restanti ore. Il picco viene raggiunto intorno alle 17-18; - La febbre è un segno/sintomo estremamente frequente nel bambino, rappresentando il motivo di consulto del 30% di tutte le visite pediatriche. Come misurare la temperatura corporea L’ideale sarebbe la misurazione della temperatura corporea centrale, che richiede tuttavia metodiche invasive. Tipi di termometro: - Infrarossi: in teoria è il sistema che meglio approssima la temperatura centrale e con tempi di misurazione di pochi secondi; tuttavia i termistori utilizzati a livello ospedaliero o domiciliare sono molto meno accurati di quelli professionali su cui sono stati fatti gli studi. Inoltre è richiesta la corretta centratura dell’arteria temporale o del timpano per ottenere una misurazione valida. Per queste ragioni, si sconsiglia l’utilizzo di questo tipo di dispositivi quando il valore della temperatura è importante ai fini delle decisioni cliniche (ad esempio nel neonato febbrile); - Termometri digitali: elevata affidabilità e basso costo, rapida rilevazione; è utile nel contesto ospedaliero, anche se non è facile controllarne la taratura. Da non sottovalutare la necessità di sostituire le batterie; - Termometri in galinstan: hanno sostituito nel 2010 i termometri storici in mercurio, grazie ai loro costi contenuti ed al miglior profilo di sicurezza. Fra i contro la fragilità, l’impossibilità alla taratura e i tempi di misurazione prolungati; Sedi di misurazione - Rettale: standard di riferimento secondo molte linee guida. La temperatura misurata al livello dell’ampolla rettale è tuttavia in ritardo rispetto alla variazione della temperatura corporea sistemica misurabile per altre vie. Sconsigliata in pazienti con neutropenia.
- Orale: generalmente di 0.6°C inferiore rispetto alla temperatura rettale per via della respirazione (in particolare nella tachipnea), è facilmente influenzata dall’ingestione di cibi. Per via dei rischi e della difficoltà intrinseca di posizionamento del termometro, vi sono opinioni discordanti sulla sua applicazione e pertanto la maggior parte delle società internazionali sconsiglia questa via di misurazione.
- Ascellare: anche la temperatura ascellare è generalmente inferiore rispetto a quella rettale, ma la grande variazione interindividuale non permette di calcolare la differenza fra i due metodi di misurazione. È la via più semplice e pertanto quello più utilizzata.
- Temporale/Timpanica: sedi speciali della lettura a infrarossi. Sono le sedi dove è maggiore la discrepanza fra più misurazioni ed è richiesta una competenza maggiore; Raccomandazione La misurazione ascellare con termometro digitale è raccomandata nei bambini fino a 4 settimane di vita in ambiente ospedaliero, ambulatoriale e domiciliare. In bambini oltre le 4 settimane di vita, in ambiente ospedaliero e ambulatoriale, si raccomanda la misurazione ascellare con termometri digitali o la misurazione con termometri a infrarossi (timpanici o a distanza).

Nella gestione del bambino tra 1 e 3 mesi di vita con TC ≥ 38°C si dovrebbero richiedere emocromo, PCR, emocoltura, esame urine, RX torace (solo se sono presenti sintomi respiratori) e coprocoltura (solo se è presente diarrea). Non per tutti i bambini di questa età sono raccomandate la rachicentesi e la terapia antibiotica endovena. Tuttavia, anche in caso di obiettività negativa e globuli bianchi tra i 5000 e i 15.000/mmc, oltre a emocromo e PCR viene consigliata sempre e comunque l’esecuzione dell’emocoltura. Quale farmaco scegliere? Ibuprofene e paracetamolo sono i farmaci maggiormente utilizzati in età pediatrica.
Ibuprofene: azione più rapida e duratura. Miglior profilo di sicurezza, minori effetti collaterali gravi. Prescrizione a partire dal III mese di vita o Peso > 5.6 Kg.
Paracetamolo: utilizzabile a partire dalla nascita.
I due farmaci presentano un’efficacia sovrapponibile se impiegati alle dosi di 15 mg/Kg per il paracetamolo e di 10 mg/Kg per l’ibuprofene.
NON COMBINARE i farmaci! Vantaggi modesti rispetto alla monoterapia e rischio di sovradosaggio. L’utilizzo alternato dei due farmaci (sconsigliato dalla maggior parte delle linee guida) potrebbe essere considerato in alcuni casi di febbre persistente non responsiva all’impiego di un singolo farmaco, rispettando in ogni caso gli aspetti farmacocinetici.
Caveat - Inutili e dannose sono le misure fisiche per ridurre la temperatura (spugnature, borse con il ghiaccio, ecc), che sortiscono come unico effetto un transitorio raffreddamento con vasocostrizione, brivido e successivo rialzo della temperatura e aumento del malessere nel bambino.
- Non utilizzare gli antipiretici per la prevenzione delle convulsioni febbrili.
- L’obbiettivo degli antipiretici contrariamente a ciò che suggerisce il nome è di dare un senso di sollievo al bambino e non di abbassare la temperatura corporea.
- Non somministrare gli antipiretici prima e dopo le vaccinazioni (è stata dimostrata una ridotta risposta anticorpale).
- La somministrazione di ibuprofene è sconsigliata nei bambini con malattia di Kawasaki già in trattamento con acido acetilsalicilico.
- L’uso di paracetamolo e ibuprofene non presenta controindicazioni in bambini febbrili con asma a eccezione dei casi in cui sia stata accertata una condizione di asma indotta da paracetamolo o da antinfiammatorio non steroideo.
Assunzione a digiuno: un falso mito Molti pediatri consigliano l’assunzione di ibuprofene a stomaco pieno per favorire la creazione di una barriera gastroprotettiva e limitare il rischio di eventi avversi. Tale indicazione può essere consigliata in caso di utilizzo prolungato del farmaco (come nel trattamento di flogosi articolare da febbre reumatica o artrite idiopatica giovanile), perché l’assunzione col cibo può alleviare i sintomi gastrointestinali minori quali la pirosi; tuttavia, la stessa non è raccomandata nel trattamento a breve termine. Il cibo rallenta l’assorbimento del farmaco e, quindi, anche la sua velocità di azione, ritardandone l’effetto terapeutico. Il bambino con febbre solitamente si alimenta e beve poco e ciò può comportare deplezione delle scorte di glutatione, con conseguente rischio di incrementata epatotossicità in caso di uso di paracetamolo, e grave disidratazione con il conseguente rischio di incrementata tossicità da ibuprofene, tuttavia risolvibile reidratando il bambino. Quindi considerando il rapporto rischio/beneficio alcuni Autori suggeriscono l’assunzione di ibuprofene anche a digiuno. È stato dimostrato che l’assunzione a stomaco vuoto determina un raggiungimento più rapido di concentrazioni plasmatiche adeguate del farmaco, dando maggior sollievo nei confronti del dolore complessivo e riducendo, quindi, la possibilità di assunzione di una nuova dose di analgesico. In conclusione, l’assunzione di analgesici con il cibo può renderli meno efficaci e aumentare la probabilità di ricorso a ulteriori dosi, con conseguente maggiore esposizione.
Red Flags 
Bibliografia
E. Chiappini et al.“Gestione del segno e sintomo febbre in pediatria - Aggiornamento 2016 delle Linee Guida italiane”. Supplemento al numero 3, ANNO XII – 2017; ISSN 1970-8165.
Italian Panel for the Management of Fever in Children. 2016. Update of the Italian Pediatric Society Guidelines About Management of Fever in Children. J Pediatr 2016; In Press.
G. Tornese, F. Marchetti. “Management in febrile children younger than 5 years: updated guidelines”. Medico e bambino, 2014; 33:170-174.
V. Murgia, F. Marchetti. “Chi ha paura della febbre?”. Medico e Bambino pagine elettroniche 2015; 18(5)
Niven DJ et al. Accuracy of peripheral thermometers for estimating temperature: a systematic review and meta-analysis. Ann Intern Med. 2015;163(10):76
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Cucinotta U, Galletta F, Fusco M, Barone C UOC Pediatria d'Urgenza con PS e OB, AUO "G. Martino", Università degli Studi di Messina
Lo shock in età pediatrica
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Original article Cucinotta U, Galletta F, Fusco M, Barone C UOC Pediatria d'Urgenza con PS e OB, AUO "G. Martino", Università degli Studi di Messina
Lo shock in età pediatrica Introduzione
Lo shock è definito come una condizione caratterizzata da un’acuta insufficienza cardiovascolare con inadeguata perfusione degli organi vitali. La ridotta perfusione tissutale comporta un rilascio di O2 inadeguato per il metabolismo aerobico, tale da rendere necessario il passaggio ad un metabolismo anaerobico. Ciò determina un conseguente aumento dei livelli di CO2 e di acido lattico nel sangue con evoluzione verso un quadro di acidosi metabolica. La funzione cellulare si riduce e, se lo shock persiste, si verificano un danno cellulare irreversibile e la morte della cellula. Dal punto di vista fisiopatologico in corso di shock, nelle aree ipoperfuse, si possono innescare gli eventi della cascata sia infiammatoria che coagulativa. Possiamo suddividere il meccanismo fisiopatologico dello shock in tre grandi fasi: 1. Shock compensato: in questa fase, al ridursi dell’apporto di O2, i tessuti compensano aumentandone l’estrazione. La bassa pressione arteriosa determina una rapida risposta adrenergica con conseguente vasocostrizione periferica, incremento della contrattilità cardiaca, attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone. Inizialmente la vasocostrizione è selettiva, con uno shunt del sangue verso gli organi nobili (cuore e cervello), a discapito dalla circolazione splancnica. Questi meccanismi fanno si che la pressione arteriosa sistolica si mantenga nella norma. Solitamente in questa fase il bambino si presenta: - Pallido con cute fredda (tranne nello shock settico in cui è calda); - Lievemente agitato o confuso; - Tachicardico; - Oligurico; 2. Shock scompensato: è presente quando i segni e i sintomi dell’inadeguata perfusione sono accompagnati da ipotensione sistolica. Clinicamente il bambino si presenta con: - Ipotensione e tachicardia; - Respiro rapido e superficiale; - Alterazione dello stato di coscienza; - Anuria; 3. Shock irreversibile: a questo punto il danno cellulare e tissutale è così severo che, anche se le alterazioni emodinamiche vengono corrette, la sopravvivenza non è più possibile e si instaura una sindrome da disfunzione multiorgano. Si caratterizza per: - Insufficienza respiratoria: l'aumentata permeabilità di membrana determina il riempimento degli alveoli e un'ulteriore infiammazione. L'ipossia progressiva risulta sempre più resistente all’ossigenoterapia. Questa condizione viene definita come danno polmonare acuto o, se grave, sindrome da distress respiratorio acuto; - IRA: l’ipoperfusione renale determina necrosi tubulare acuta; - Insufficienza cardio-circolatoria: la ridotta perfusione cardiaca e l’aumento dei mediatori possono deprimere la contrattilità, peggiorare la compliance miocardica e down-regolare i recettori beta. Questi fattori determinano una riduzione della gittata cardiaca, peggiorando ulteriormente sia la perfusione miocardica che quella sistemica e causando l’instaurarsi di un circolo vizioso. - Insufficienza gastrointestinale: si possono sviluppare ileo ed emorragia sottomucosa. L’ipoperfusione epatica può determinare necrosi epatocellulare, focale o diffusa, con aumento delle transaminasi e della bilirubina e riduzione dei fattori della coagulazione; - Coma da ipoperfusione cerebrale. Classificazione Lo shock può essere classificato in base all’eziologia, alle variazioni fisiopatologiche indotte nel paziente o all’output cardiaco.
Classificazione fisiopatologica: 1. Shock da ipoperfusione assoluta, a sua volta può essere distinto in: a) Shock ipovolemico principale causa di shock nei pazienti pediatrici. E’ caratterizzato da un volume intravascolare inadeguato rispetto allo spazio intravascolare. Spesso deriva da disidratazione o emorragia (Tab.1).

b) Shock cardiogeno caratterizzato dalla disfunzione miocardica. Il volume ematico è generalmente normale o anche aumentato, ma la disfunzione miocardica limita l’output cardiaco: Cardiopatie Congenite, Cardiomiopatie Acquisite, Aritmie, Ischemia miocardica
c) Shock ostruttivo in quelle condizioni in cui si realizza un’ostruzione all’efflusso di sangue dal ventricolo destro, nella circolazione polmonare, o dal ventricolo sn, nella circolazione sistemica (PNX iperteso, Emopneumotorace, Tamponamento cardiaco, Embolia polmonare) 2. Shock distributivo (da ipoperfusione relativa): è caratterizzato da inappropriata distribuzione del volume ematico. Questo può essere causato da una vasodilatazione sistemica, citochino-mediata o neuro-mediata, che porta ad una ipovolemia funzionale. Possiamo distinguerlo in: a) shock settico: definito dalla presenza di sepsi (“presenza di infezione, sospetta o documentata, e aumento del punteggio SOFA score ≥ 2 rispetto al basale) a cui si associa disfunzione cardiovascolare (“ipotensione che richiede l’uso di farmaci vasopressori per mantenere una pressione arteriosa media superiore a 65 mmhg e un livello sierico di lattato superiore a 2 mmol/L, nonostante adeguata reidratazione”). (Tab.2) 
Tab.2 SOFA score per diagnosi sepsi. b) shock anafilattico scatenato dal contatto di anticorpi IgE con allergeni che determinano l’attivazione sistemica di mastociti, con conseguente rilascio di istamina.
c) shock neurogeno causato da una vasodilatazione periferica, indotta da svariate cause. (Tab.3)  Tab.3 Cause di Shock neurogeno.
Come riconoscere precocemente uno stato di shock Parametri da valutare nell’immediato per distinguere uno shock compensato da uno shock scompensato (Tab.4) - Frequenza cardiaca - Polsi periferici - Tempo di refill capillare - Pressione arteriosa - Frequenza respiratoria, saturazione di O2, tipo di respiro - Cute e mucose (colore, elasticità, stato di idratazione) - Temperatura corporea - Stato di coscienza - Diuresi

Tab.4 Segni e sintomi clinici di shock I segni di shock conclamato sono l’ipotensione e l’evidenza di scarsa perfusione, tuttavia questi sono segni tardivi, risultato finale di una complessa risposta comune ad eventi scatenanti diversi; tuttavia lo shock va riconosciuto nelle fasi precoci, sulla base dell’osservazione clinica della perfusione periferica, che viene ridotta per l’azione dei meccanismi di compenso; è in questa fase che la terapia sarà più efficace, prevenendo l’aggravarsi dell’acidosi e la progressione del danno d’organo. Esistono poi segni e sintomi specifici per i diversi tipi di shock: Shock Ipovolemico: - Tachicardia (generalmente rappresenta il primo segno di shock in età pediatrica) - Polsi periferici piccoli - Tachipnea - Ipotensione (definita in base all’età): < 1 mese: PA sistolica < 60 mmHg; < 1 anno: PA sistolica < 70 mmHg; Da 1 a 10 anni: calcolare PAS in base alla formula: (età x 2) + 70; >10 anni: PA sistolica < 90 mmHg; - Pallore - Secchezza di cute e mucose - Estremità fredde - Oliguria Shock Cardiogeno: - Estremità fredde - Ipotensione - Tachicardia, polso piccolo - Tachipnea - Cianosi, pallore, colorito grigiastro - Epatomegalia - Giugulari turgide - Rumori umidi polmonari 
Tab.5 Stadi progressivi dello Shock Cardiogeno Shock settico: Fase iperdinamica: - Polsi inizialmente ampi ed estremità calde ("fase iperdinamica") con aspetto “flushed” - Tachicardia - Tachipnea - Iper/ipotermia Fase ipodinamica: - Cute fredda, pallida o cianotica o con segni emorragici - Ipotonia/letargia o ansia/agitazione Shock anafilattico: Insorgenza iperacuta con: - segni cutanei (orticaria/angioedema, prurito, pallore, cute fredda, cianosi) - sintomi di ostruzione delle vie aeree (rinite, tosse, raceudine, disfonia, broncospasmo/dispnea, edema della glottide) - sintomi di coinvolgimento cardiovascolare (improvvisa riduzione della pressione sanguigna o sintomi di disfunzione di organi essenziali (ipotonia, incoscienza, incontinenza urinaria) - disturbi gastrointestinali (vomito, diarrea, dolore addominale). 
Stadi dell’anafilassi: Classificazione di Brown (JACI 2001)
Trattamento E’ necessario un rapido riconoscimento e rapido intervento combinato con la terapia specifica della causa sottostante. Obiettivi principali: - assicurare la stabilità emodinamica - correggere i dismetabolismi (glucosio, calcio, potassio, HCO3-) - iniziare trattamento di un’eventuale infezione (da decidere in base al tipo di paziente); Primo Step: osservare rapidamente il paziente (Quick look: 3B): - Behaviour: orientato, vigile, soporoso, non risvegliabile? - Breathing: eupnoico, dispnoico, polipnoico? - Body color: colore, idratazione, stato di perfusione della cute? Vanno iniziate le manovre di rianimazione cardio-polmonare secondo il nuovo protocollo PALS seguendo la valutazione ABCDE: Airways: valutazione della pervietà delle vie aeree; Breathing: FLVO (Frequenza respiratoria, Lavoro respiratorio, Volume corrente, Ossigenazione) ; 
Circulation: valutando FC, PA, T di Refill; Disability: con valutazione dello stato mentale mediante GCS score o AVPU (Alert, Voice, Pain, Unresponsive); Examination: ricercare segni e sintomi specifici per possano già orientare la diagnosi. Interventi: 1) Somministrare O2; 2) Arrestare eventuale emorragia (se si tratta di un paziente traumatizzato); 3) Assicurare un accesso venoso periferico del maggior calibro possibile (non inferiore a 24 G nel lattante e 22G nel bambino). Se dopo 90-120 secondi e/o 3 tentativi non è stato possibile incannulare una vena periferica bisogna ricorrere ad un accesso alternativo (accesso intraosseo nei bambini sotto i 6 anni, oppure accesso venoso centrale). 4) Avviare infusione (entro 30’) di soluzione fisiologica a 20 ml/Kg in bolo (5-10 minuti); il bolo è ripetibile, fino ad un massimo di 3 somministrazioni ad intervalli di 10-20 minuti l’uno dall’altro. Superati i 60 ml/kg, bisogna fare ricorso ai farmaci cardio- e vaso-attivi.
N.B. - Si ricorda che i liquidi vanno infusi quanto più rapidamente possibile, da 5 a 10 minuti, in caso di severa emorragia dopo trauma, grave disidratazione o shock scompensato. - In caso di paziente cardiopatico noto/cerebropatico/malnutrito infondere boli di 10 ml/kg in 10-20 minuti. - Nel neonato infondere boli di 10ml/kg in 10-20 minuti. - La soluzione glucosata NON è una soluzione adeguata, perché grosse quantità di glucosio sono controindicate nella rianimazione: l’iperglicemia può indurre diuresi osmotica, determinare o aggravare l’ipokaliemia e peggiorare eventuali lesioni cerebrali ischemiche. - In caso di mancata risposta alla fluidoterapia (come sopra indicato) somministrare inotropi quali: Adrenalina (0.1-1 ug/kg/minuto); Dopamina (2-20 ug /kg/minuto); Noradrenalina (0.1-2 mcg/kg/minuto). Se Shock refrattario ai fluidi? - Iniziare infusione periferica IV/IO di inotropi, preferibilmente adrenalina 0,05 - 0,3 μg/kg/min Utilizzare atropina/ketamina IV/IO/IM se necessario per ottenere accesso venoso centrale o intubazione. - Adrenalina 0,05 - 0,3 μg/kg/min (Dopamina 5 - 9 μg/kg/min se l’adrenalina non è disponibile)/ Noradrenalina da 0,05 μg/kg/min. In caso di risposta al trattamento: - trasferire in Terapia Intensiva per proseguire i monitoraggi;
- da considerare anche l’inizio di una copertura antibiotica (es. Rocefin 100 mg/Kg)
In caso di mancata risposta: trasferire in Terapia intensiva per:
- accesso venoso centrale - monitoraggio arterioso Accorgimenti specifici in base al tipo di shock Shock cardiogeno La tecnica del “fluid challenge” caratterizzata dall’utilizzo di >200 ml di fluidi (colloidi o ringer lattato), da infondere in 15-30 min, in assenza di segni di sovraccarico di volume, ha la capacità di migliorare la pressione arteriosa sistemica in caso di responsività del paziente, a fronte di un limitato rischio di effetti collaterali (raccomandazione di classe Ia). [segni di sovraccarico di volume (da aumentato precarico): epatomegalia, distress respiratorio, presenza di crepitii alle basi polmonari, turgore vene giugulari.] In presenza di tali segni infondere un volume minore di liquidi ed in modo più graduale: 5-10 ml/Kg in 10-20 minuti. In assenza di essi procedere con 10-20 ml/kg. Shock settico I bambini possono necessitare da 60 a 100 ml/kg di fluidi nelle prime ore per il supporto emodinamico. Secondo le evidenze della letteratura, in caso di shock settico in pazienti pediatrici, somministrare più di 40 ml/kg nella prima ora riduce la mortalità. E’ necessario eseguire indagini di laboratorio (Emocromo con formula PCR, PCT, EGA, lattati, glucosio, elettroliti con calcio ionizzato, funzione epato-renale, INR, emocoltura, PCR real time, esame urine con urinocoltura, rachicentesi,nel caso si sospetti una meningite) ed avviare precocemente terapia antibiotica ad ampio spettro con Ceftriaxone (100 mg/Kg). Si ricordi la somministrazione di antipiretico in caso di temperatura elevata. Shock emorragico Nel paziente pediatrico traumatizzato con emorragia, in cui lo shock persiste nonostante la somministrazione di 40 a 60 ml/kg di soluzione isotonica, ricorrere a trasfusione di sangue, così come in caso di sanguinamento attivo o segni di anemizzazione (15-20 ml/Kg aumentano l’Hb di 5g%). Se paziente con valori di Hb < 7 g/dL: trasfusione. Se coagulazione intravascolare disseminata: a. Plasma fresco 10-20 ml/Kg b. Piastrine 1 U/Kg aumenta le piastrine di 100.000. Shock anafilattico Somministrare nell’immediato epinefrina I.M. ( vasto laterale della coscia), al dosaggio di 0,01ml (0,01 mg)/kg dose, fino ad un massimo di 0,3 - 0,5 mg ( > 12 anni e adulti). E’ possibile ripetere dopo 5 minuti per 2-3 volte in caso di persistenza o recidiva della sintomatologia. Se si ottiene una buona risposta clinica bisogna osservare il paziente e considerare una eventuale terapia con corticosteroidi. Al contrario: 1. reperire accesso venoso e somministrare fluidi in bolo ed adrenalina e.v. (fiale da 1mg/1 ml con diluizione 1:10 con 9 ml di soluzione fisiologica, ad una dose di 0.1 ml/kg della diluizione 1:10.000), da parte di personale esperto, monitorando costantemente ECG e PA per il maggior rischio di rischio di crisi ipertensive, severe tachicardie, aritmie e ischemia miocardica. 2. Somministrare antistaminici: in particolare Clorfenamina (anti-H1, Trimeton fl 1 ml = 10 mg ) al dosaggio di 0.25 mg/kg/dose (max 10 mg), specie in caso di sintomatologia cutanea e respiratoria, oppure Ranitidina (anti- H2, ranidil) al dosaggio di 1 mg/kg in caso di sintomatologia gastrointestinale. 3. Valutare la somministrazione di corticosteroidi, in particolare idrocortisone (5 mg/kg ; max 2 gr EV) o metilprednisolone (1-2 mg/Kg EV), in quanto risultano utili in caso di edema delle vie aeree, broncospasmo severo, collasso cardiocircolatorio con ipotensione arteriosa e limitano e inibiscono la durata e l’intensità dell’anafilassi ritardata. 4. Somministrare broncodilatatori tramite aerosol: Salbutamolo sol. per aerosol 5 mg/ml - 1 gtt = 0,05 ml= 0,25 mg. Nei bambini di età < 5 anni: 2,5 mg (10 gocce) + 3 ml di SF, mentre nei bambini di età > 5 anni. 5 mg (20 gocce) + 3 ml di SF. 5. Se ipotensione refrattaria: - Dopamina: 10-20 μg/kg/min EV - Noradrenalina: 8-12 μg/kg/min EV - Glucagone: 20-30 μg/kg EV in 5 min ( max 1 mg bambini). Esso supera il blocco beta adrenergico perché stimola direttamente la funzione cardiaca inotropa e cronotropa,aumenta le concentrazioni intracellulari di cAMP che inibisce il rilascio di mediatori dalle cellule sensibilizzate. Avvertenze Nei vari tipi di shock considerare la correzione di disturbi metabolici e dell'ipotermia, per migliorare la funzione cellulare e la contrattilità miocardica; in particolare: - Acidosi metabolica: un deficit di basi superiore a 6-10 mEq/L dovrebbe essere corretto, purché sia garantita un'adeguata ventilazione; la supplementazione di bicarbonato prevede boli di 1 -2 mEq/Kg, infusi lentamente; la formula indicativa per la correzione dell'acidosi metabolica è:
mEq NaHC03 = 0,3 x (Kg peso corporeo) x (deficit di basi) - Ipocalcemia: dovrebbero essere trattati livelli di Ca ionizzato inferiori a 0,90 mMol/L, con Ca gluconato 100 mg/Kg ev in bolo lento, o Ca cloruro 20 mg/Kg;
- Ipoglicemia ( glicemia < 60 mg/dl; 40 mg/dl nel neonato): infondere soluzione glucosata al 10%. A partire da un mese di vita somministrare un bolo da 5-10 ml/kg, successivamente una dose di mantenimento di 2-3 ml/kg nel neonato. Nei neonati, infatti, è sufficiente un apporto di glucosio pari a 8 mg/kg/min, nei lattanti e nei bambini 5 mg/kg/min, negli adolescenti 2 mg/kg/min - Iperpotassemia o ipopotassemia: nella maggior parte dei casi è sufficiente l’infusione di liquidi e l’uso di farmaci vasoattivi. Se non è sufficiente o il pz è sintomatico, in caso di ipepotassemia somministrare Ca e.v. o bicarbonati e.v. In caso di iperpotassemia somministrare Cloruro di Potassio 0.5-1 mEq/kg/dose (max 0.5 mEq/Kg/h).
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Sippelli F, Allera S, Sturiale M, Ferraù V, Piraino B, Salamone A, Cuppari C, Salpietro C UOC Pediatria d'Urgenza con PS e OB, AOU "G. Martino", Università degli Studi di Messina
Un caso di Dermatosi bollosa infantile
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Case Report Sippelli F, Allera S, Sturiale M, Ferraù V, Piraino B, Salamone A, Cuppari C, Salpietro C UOC Pediatria d'Urgenza con PS e OB, AOU "G. Martino", Università degli Studi di Messina
Un caso di Dermatosi bollosa infantile Abstract
Un piccolo di 11 mesi di origine marocchina giunge alla nostra osservazione per comparsa in pieno benessere di manifestazioni cutanee vescico-bollose diffuse in tutto il corpo. L'obiettività clinica fa propendere per una dermatosi bollosa, in particolare, le due patologie che entrano in diagnosi differenziale sono la dermatite a depositi di IgA lineari e la dermatite herpetiforme di Durhing. Viene eseguita, quindi, una prima biopsia cutanea che evidenzia un quadro di bollosi subepidermica con infiltrati di eosinofili e linfociti perivascolare, compatibile con dermatite a depositi lineari di IgA. Tale diagnosi è avvalorata da un nuovo esame bioptico con successiva immunofluorescenza che conferma il quadro istopatologico dei depositi di IgA e C3 lungo la membrana basale. Si avvia, pertanto, terapia steroidea sistemica con metilprednisolone assistendo ad una notevole riduzione delle lesioni cutanee accanto a saltuarie gittate di nuovi elementi su aree di cute indenne. Infine, si procede con la somministrazione del dapsone per via orale, farmaco di prima scelta per il trattamento di tale patologia attualmente non reperibile in Italia, con successiva risoluzione completa delle manifestazioni cutanee.
Caso clinico Mohamed è un bimbo di 11 mesi di origine marocchina giunto alla nostra osservazione per insorgenza, in pieno benessere, di manifestazione cutanee inizialmente vescicolari, interessanti la pianta dei piedi e la regione pubica, successivamente diffuse in tutto il corpo ed evolute dapprima in lesioni bollose dal contenuto sierico e poi in croste. Mohamed è un bambino sano nato a termine, sereno, non sofferente che sin dall'esordio delle suddette lesioni non ha manifestato altri sintomi o segni degni di nota. All'anamnesi familiare si segnala solamente una riferita ed imprecisata dermatite ad espressione bollosa, di cui avrebbe sofferto il bisnonno paterno. Il totale benessere clinico di Mohamed contrasta con l'obiettività cutanea caratterizzata da plurime lesioni vescico-bollose dal contenuto sieroso, alcune tendenti alla coalescenza con aspetto "a rosetta" e frammiste a croste, localizzate a tutto il tegumento ed insistenti su cute aflegmasica con maggiore espressività agli arti, genitali, volto e cuoio capelluto (Fig.1). Le mucose si presentano indenni e di colorito roseo. 
Fig. 1 Lesioni cutanee all'esordio In corso di degenza viene avviata terapia antibiotica con amoxicillina ed eseguiti esami ematochimici di primo livello, comprendenti anche uno striscio periferico con tipizzazione linfocitaria ed una sierologia per virus herpetici, risultati negativi. Le indagini di laboratorio non evidenziano nulla di rilevante se non una spiccata eosinofilia (18%). Il quadro dermatologico del piccolo è indicativo di una dermatosi bollosa autoimmune ed in base all'età, alle caratteristiche delle lesioni cutanee i due sospetti maggiori sono rappresentati dalla dermatite a depositi lineari di IgA e dermatite herpetiforme di Duhring. Si eseguono pertanto: screening per celiachia e dosaggio degli autoanticorpi anti-cute (anti-desmogleina 1 e 3, anti-BP180 e BP230) entrambi risultati negativi ed una biopsia cutanea su elemento bolloso che evidenzia un referto istologico di "bollosi subepidermica a contenuto granulocitario con discreta quota eosinofila e moderata quantità di fibrina e infiltrato linfocitario perivascolare con occasionali eosinofili nel derma superficiale", compatibile con l'ipotesi diagnostica di dermatite a depositi lineari di IgA. Viene quindi avviata terapia steroidea parenterale con metilprednisolone e, per ulteriore conferma diagnostica, eseguita una nuova biopsia per indagini istologiche con tecniche di immunofluorescenza diretta, esame gold standard ai fini diagnostici. Nel frattempo, si assiste ad una parziale risoluzione delle pregresse lesioni cutanee esitate in vaste aree disepitelizzate e confluenti, accanto a gittate di nuovi elementi vescico-bollosi su zone di cute non precedentemente interessate, il tutto in condizioni generali di assoluto benessere clinico. (Fig. 2).

Fig. 2 Lesioni cutanee in fase di risoluzione Infine, anche l'esame istologico con immunofluorescenza documenta un quadro compatibile con la suddetta ipotesi diagnostica: " omogenei depositi lineari lungo la regione della membrana basale di IgA e C3; analoga distribuzione si osserva per IgG e debolmente per IgM”.
Alla luce della diagnosi istologica di certezza e del parziale effetto terapeutico corticosteroideo, si decide di avviare terapia orale con Dapsone, farmaco d’elezione per il trattamento di tale dermatosi, non in commercio in Italia e gravato da possibili effetti collaterali severi quali: agranulocitosi, tossicità epato-renale e metaemoglobinemia. In attesa del reperimento del suddetto farmaco il piccolo ha proseguito presso il proprio domicilio terapia steroidea parenterale associata a profilassi antibiotica con cotrimossazolo, mantenendo sempre un quadro clinico e dermatologico stabile.
Ad un mese dalla dimissione Mohamed ritorna nuovamente alla nostra osservazione per l'avvio del Dapsone in ambiente protetto e conseguente decalage del cortisone. Già dopo una settimana dall’inizio della cura si assiste ad un notevole miglioramento delle lesioni cutanee; le poche vescicolo-bolle residuate vanno incontro a risoluzione completa senza comparsa di nuove gittate. (Fig. 3).

Fig. 3 Follow-up ad un mese dalla dimissione Viene pertanto dimesso in buone condizioni generali con cute ormai esente da lesioni e con l’indicazione ad eseguire periodici controlli di laboratorio, a cadenza settimanale, per scongiurare un eventuale insorgenza dei succitati effetti collaterali farmacologici.
Discussione
La dermatosi bollosa da IgA lineari (LABD), nota anche come dermatite a depositi lineari di IgA, è una malattia vescicolare subepidermica relativamente rara che può verificarsi sia negli adulti che nei bambini. Nei bambini, la malattia è nota come "malattia bollosa cronica dell'infanzia" e tende ad avere un aspetto clinico distinto, ma la patogenesi della malattia rimane la stessa. (Visentainer L, 2019), (Díaz MS, 2019), (Valle Del Barrio B, 2019).
La dermatite a depositi lineari di IgA può verificarsi a tutte le età. Negli adulti la maggiore insorgenza si ha in due fasce di età separate, una nell'adolescenza/prima età adulta e l'altra nella sesta decade di vita. Nei bambini l'esordio si ha classicamente in età prescolare (età media di 4,5 anni). L'incidenza stimata varia da 0,2 a 2,3 casi per milione l'anno. (Bernett CN, 2019).
L'eziologia principale della LABD è la presenza di anticorpi IgA circolanti anti-membrana basale diretti contro la porzione 97 kDa del BPAG2 (antigene pemfigoide bolloso di tipo 2, noto anche come BP180) nella lamina lucida. Esistono varie teorie riguardanti i potenziali fattori scatenanti la produzione delle IgA che includono eziologie infettive, malattie autoimmuni, induzione secondaria a neoplasie o patologie gastrointestinali. Sono stati segnalati casi di associazione della LABD con la celiachia, morbo di Crohn, colite ulcerosa, lupus eritematoso sistemico, artrite reumatoide, dermatomiosite e sclerosi multipla. L'infezione da virus varicella-zoster (VZV), con conseguente varicella o herpes zoster, può fungere da fattore scatenante che porta alla formazione delle IgA anti-membrana basale, insieme ad altre infezioni come quelle respiratorie.
La predisposizione genetica può anche essere parzialmente responsabile dello sviluppo della malattia bollosa cronica dell'infanzia e diversi tipi di HLA sono risultati correlati a un aumentato rischio di insorgenza della patologia.
Nella malattia bollosa cronica dell'infanzia, la classica presentazione clinica include lesioni eritematose anulari con vescicole disposte ad anello, comunemente denominate a "collana di perle". Nei bambini, le lesioni si verificano più comunemente sull'addome, sulla parte inferiore del dorso, sulle cosce, sull'inguine e nelle regioni perioculari e periorale. La malattia può anche avere un coinvolgimento della mucosa in circa il 50% dei pazienti. Sia la forma adulta che quella infantile possono variare clinicamente da forme completamente asintomatiche ad altre con grave sensazione di prurito o bruciore.
Di gran lunga, l'aspetto più importante nell'iter diagnostico è l'esecuzione di biopsie per l'esame istopatologico. Sono necessarie almeno due biopsie, una per la colorazione con ematossilina-eosina di routine e l'altra per l'immunofluorescenza diretta (DIF) per verificare la presenza o l'assenza di anticorpi IgA anti-membrana basale, che possono essere trovati nel 70% dei pazienti con LABD ma non si ritrovano in pazienti con Dermatite herpetiforme. (Horváth ON, 2018).
Dalla scoperta della LABD negli anni '70 fino ad oggi sono emerse molteplici opzioni di trattamento, ma il farmaco più comunemente usato per trattare il disturbo è il Dapsone orale. Fortunatamente la malattia risponde in maniera eccezionale al Dapsone ed il miglioramento può essere visto entro 2-3 giorni dall'inizio del trattamento. Per una corretta gestione della malattia sono necessarie dosi relativamente basse, con una media di 100 mg al giorno per gli adulti, mentre i bambini generalmente richiedono da 1 a 2 mg / kg al giorno. I pazienti in trattamento con Dapsone devono essere attentamente monitorati per lo sviluppo di anemia emolitica, agranulocitosi, sindrome da ipersensibilità al Dapsone, leucopenia, ittero colestatico, neuropatia periferica e sindrome nefrosica. Occasionalmente, i pazienti possono anche richiedere la somministrazione aggiuntiva di corticosteroidi orali per ottenere il controllo iniziale della malattia. La sulfapiridina rimane un'altra opzione terapeutica. (Machado TYS, 2018), (Shetty VM, 2018).
La diagnosi differenziale per LABD dovrebbe includere altre malattie vescicolobollose come la dermatite erpetiforme, il pemfigoide bolloso, l'epidermolisi bollosa acquisita, l'impetigine bollosa o il pemfigo volgare. La dermatite erpetiforme presenta risultati molto simili sulla colorazione immunoistochimica, con la differenza principale consistente nella deposizione granulare di IgA, anziché nella deposizione lineare come nella LABD.
La prognosi sia per la forma adulta che per la variante pediatrica, è generalmente promettente, con una regressione spontanea nei bambini che si realizza solitamente entro 2-4 anni dall'esordio.
Bibliografia Bernett CN et al. Linear IGA Dermatosis. StatPearls [Internet]. Treasure Island (FL): StatPearls Publishing; 2019-.
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Visentainer L et al. Vancomycin-induced linear IgA bullous dermatosis (LABD)-an atypical presentation. Clin Case Rep. 2019 Apr 22;7(5):1091-1093.
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Original article Cavò G, Nucera L UOC Pediatria d'Urgenza con PS e OB, AOU "G. Martino", Università degli Studi di Messina
L'amore oltre le cure: la Care neonatale La “Care neonatale” è la preoccupazione, l’attenzione alla cura personale di un neonato. Oggi sta diventando sempre di più l’arma principale attuata nei reparti ospedalieri, specialmente nelle unità di terapia intensiva neonatale dove la presenza di prematuri aumenta le attenzioni dedicate, ma spesso ci troviamo di fronte a realtà differenti.
L’obiettivo principale della Care è di ridurre al minimo lo stress cui esso è sottoposto, migliorando l’ambiente, riducendo le stimolazioni dolorose, favorendo i periodi di sonno, riducendo i periodi di destabilizzazione e garantendo il contatto precoce con la madre in maniera tale da garantire un adeguato sviluppo neuro-comportamentale.
La care ambientale L’immaturità del pretermine lo rende estremamente sensibile agli stimoli esterni, con ripercussioni sulla velocità del suo sviluppo è necessario:
- Limitare l’uso di luce diretta, oscurando le finestre e utilizzando dei copriculla, se possibile utilizzare luce soffusa o spegnere le luci quando non sono necessarie per rispettare il ciclo sonno-veglia del neonato; - Ridurre le stimolazioni uditive abbassando il volume dei monitor, non poggiando nulla sulle termoculle, mantenendo dei toni di voce adeguati e evitare conversazioni in prossimità delle culle dei neonati;
- Architettura delle TIN (terapia intensiva neonatale) ideali alle esigenze dei prematuri, adottando un sistema di stanza più piccole, superfici in materiale adeguato che assorbano i rumori, guarnizioni di gomma. La care individuale
La care individuale si basa sull’osservazione del neonato prima, durante e dopo una manovra assistenziale, per imparare a riconoscere le sue potenzialità e vulnerabilità. La lettura del suo comportamento consente quindi di capire quale obiettivo il neonato stia cercando di raggiungere, quali strategie stia usando e quali supporti possiamo offrirgli per facilitare il suo sviluppo globale, nonostante i necessari interventi assistenziali. Argomento cardine della Care individuale è il dolore nel neonato: differentemente da quanto si pensava fino agli anni ‘80, anche il prematuro percepisce il dolore, anzi, in maniera amplificata, e ha una memoria del dolore che se può avere conseguenze a medio e lungo termine, con crisi di ansia, di panico, di carattere irascibile, disturbi dell’alimentazione e del sonno.
La care posturale
La care posturale, può favorire la funzionalità respiratoria, promuovere il sonno, diminuire il reflusso gastro-esofageo, i comportamenti indicanti stress, l’ipertensione, l’instabilità motoria, favorire l’allineamento sulla linea mediana. Le tecniche utilizzate sono molteplici: - Il nido, è una struttura contenitiva, morbida e accogliente che ricrea l’ambiente uterino. Il contenimento del nido riduce l’instabilità posturale e le posture in congelamento degli arti in risposta ad una ipotetica perdita di equilibrio, facilita e promuove la fluidità dei movimenti riducendo quelli bruschi, permette infine una postura flessa e addotta di tutto il corpo. 
- L’Holding, è un “dialogo tonico” offerto dalle mani ferme del genitore e dell’infermiere che contengono e ascoltano il neonato, il quale risponde attivamente accoccolandosi sotto quel dolce tocco. L’holding favorisce la relazione con i genitori, per il piccolo risulta un modo di contatto e consolatorio con una figura rassicurante. 
- Il Wrapping, è una tecnica effettuata attraverso l’uso di telini con i quali si avvolge il neonato permettendo il suo contenimento in una posizione flessa con le manine vicino al volto per conferire una maggiore stabilità corporea. Il wrapping si realizza con un telino quadrato in tessuto morbido, il neonato vi si posiziona di fianco, avendo cura che i quattro arti siano flessi e le mani vicino al viso e alla bocca; lo si avvolge prima da un lato e poi dall’altro avendo cura di non stringere troppo, la testa deve rimanere parzialmente libera mentre le spalle e il collo dovranno essere ben sostenute dal telino. 
- Minimalhandling, mira a ridurre le manipolazioni del neonato solo quando necessarie e a concentrarle in stabiliti momenti della giornata così da non interrompere troppo spesso il suo sonno. - Gentlehandling, viene definita una tecnica di assistenza coccolata, il suo obiettivo è garantire il sonno del neonato e rendere le esperienze meno stressanti. Compito fondamentale dell’infermiere pediatrico è assicurare al piccolo periodi di tranquillità di durata adeguata a favorire il sonno e ridurre le esperienze stressanti aiutando il neonato a tranquillizzarsi e riorganizzarsi dopo una manovra destabilizzante. 
- Le cure igieniche, rientrano nella care neonatale poiché devono essere eseguite nel massimo della cura e della delicatezza dell’operatore, avvalendosi delle tecniche di minimal e gentlehandling. Il cambio del pannolino è una procedura di routine non per questo deve venire meno la delicatezza nella manovra. Il bagnetto per immersione può essere effettuato a partire dalle 33/34 settimane, può essere un momento di coccole da far eseguire anche dai genitori stessi. La care familiare
Il contatto con i genitori è benefico sia per il neonato che per i genitori stessi, poiché mira a ridurre al minimo gli effetti negativi dell’ambiente sul piccolo, prendendo in considerazione i bisogni fisici, psicologici ed emozionali.
La Kangaroo Mother Care, è una tecnica semplice che promuove il contatto pelle a pelle tra madre e figlio, dalla quale entrambi ne traggono beneficio, applicata sia nel neonato a termine ma soprattutto nel pretermine. Il neonato viene adagiato nudo con il solo pannolino sul petto nudo della madre o del padre, posizionando la testa in leggera estensione, le braccia e le gambe flesse vicino al tronco e le mani verso il viso e la bocca. 
Nel pretermine si ha: - una riduzione dei periodi di agitazione e di motricità non controllata;
- aumento di sonno quieto;
- stabilità dei parametri vitali;
- rapido adattamento alla vita extra-uterina;
- termoregolazione valida;
- riduzione del tempo dell’ospedalizzazione;
- permette l’allattamento al seno precoce.
L’allattamento al seno un gesto d’amore e nutrimento Il latte materno è di fondamentale importanza per il prematuro perché va a colmare la fragilità immunologica e a ridurre il rischio di gravi malattie intestinali e di infezioni (sepsi) alle quali questi neonati sono maggiormente predisposti rispetto ai nati a termine. Prima delle 32 settimane il neonato si nutrirà tramite sondino, per questo è importante invitare le mamme alla spremitura del latte, dopo di che si passa all’attacco al seno. La Kangaroo Mother Care è un aiuto importante nella transizione da nutrizione con sondino al seno, poiché permette lo sviluppo del riconoscimento della madre da parte del neonato attraverso gli odori e i suoni. 
Compito dell’infermiere pediatrico in terapia intensiva neonatale diventa, quindi: - Assicurare al neonato e alla famiglia un’assistenza individualizzata e completa; - Assicurare il benessere del neonato attraverso la conoscenza e l’applicazione delle tecniche di Care; - Essere vicino al piccolo paziente e al genitore, per spiegare in termini comprensibili la situazione vissuta dal figlio; - Promuovere la presenza dei genitori in tin e lo sviluppo del legame genitore-figlio. La chiave è l’empatia posseduta dall’infermiere pediatrico, la capacità di “sentire” le emozioni altrui e saperle gestire al contempo attraverso la propria professionalità. Bibliografia
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